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Come essere del 40% più felice

Aperto da Oni, Marzo 10, 2016, 06:42:10 PM

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Oni

Il 20 marzo, giornata internazionale della felicità voluta dall'Onu, potrebbe essere una buona occasione per farci qualche domanda. Abbiamo una buona vita? Che voto le daremmo da uno a dieci? La media degli italiani si promuove con una benevola sufficienza, ma il vero problema è dare un contenuto al termine happiness. Successo? Denaro? Salute? Celebrità? Senza parametri certi, possiamo oscillare dalla filosofia spicciola di Phlippe Delerm e Dominique Loreau - la prima sorsata di birra, il profumo delle mele in cantina (se hai una cantina), la raccolta delle more nei boschi, le chiacchiere attorno a un tavolo sgranando piselli - alla verità semplificata nelle canzonette («Felicità/ è un cuscino di piume, l'acqua del fiume») che renderebbe Albano Carrisi il nostro guru. Eppure deve esserci qualcosa di profondo anche nei proverbi e nei luoghi comuni, se il più lungo studio mai condotto ad Harvard ci dice che il tasso d'amore conta più di quello del colesterolo, la qualità più della quantità. Solo chi ama ed è amato da mariti/mogli, genitori, amici, fratelli, avrà una vita serena e probabilmente lunga.
La prova arriva dal Grant Study, durato oltre 75 anni, che ha seguito 268 studenti universitari di Harvard delle classi del 1942- 44. Concepito nel 1938 dallo psichiatra Arlie Bock, lo studio prende il nome dallo sponsor, il magnate dei grandi magazzini W.T. Grant, convinto che la ricerca medica prestasse più attenzione ai malati e che ai sani (idea non balzana che ha fatto nascere la psicologia positiva) . Harvard a quei tempi era frequentata dai maschi dell'élite wasp del New England. Tra gli studenti entrati nella ricerca, c'erano quattro futuri senatori, un ministro, il mitico Ben Bradlee, direttore del quotidiano Washington Post durante lo scandalo Watergate, un leader dei diritti gay, un grande scrittore (forse Norman Mailer) e un certo John Kennedy. Il dossier non potrà essere reso pubblico nei dettagli prima del 2040, ma la sua presenza nel gruppo spiega forse la famosa frase sul Pil che non misura la felicità. Molti nomi resteranno un mistero in ossequio alla privacy, ma negli archivi c'è tutto. I ragazzi , diventati uomini d'affari, mariti e padri sono stati "spiati" un passo dopo l'altro tra carriere, guerre, matrimoni, divorzi e malattie fino alla morte, una vera e propria missione che Bock ha lasciato in eredità all'eccentrico psichiatra George Vaillant e consegnata dopo di lui a Robert Waldinger, il direttore del Laboratory of Adult Development che ha pubblicato i risultati. Ogni due anni Vaillant chiedeva ai partecipanti di compilare un questionario sulla salute fisica e mentale, la qualità del matrimonio, i figli, il lavoro, le malattie, la pensione. Ogni cinque li sottoponeva a un check-up, ogni quindici poneva domande sulla loro vita pratica ed emotiva. Non c'erano soltanto i figli dei ricchi.
Nel 1940 Harvard aveva avviato un'indagine parallela, il Glueck Study, su 456 proletari dei ghetti di Boston. Riguardo alla felicità, il campione wasp non aveva dato risultati migliori dell'altro. Compiuti i cinquant'anni, oltre un terzo dei privilegiati rampolli soffriva di malattie mentali, alcolismo e dipendenza ai farmaci, con morti improvvise e suicidi. Arlie Bock era sconcertato: «Quando li avevo scelti, quei ragazzi erano normalissimi». Nel 2015 il gruppo originario si era ridotto a 60 persone, ma la risposta alle vecchie domande non è cambiata. Ciò che rende felici non è il denaro, né il lavoro, né la gloria. Che cosa allora? Un mix tra genetica, buona educazione, niente fumo, poco alcol, attività fisica e soprattutto capacità di mettere in atto "meccanismi adattativi" come altruismo, humour e sublimazione. È questo che fa la differenza, è la conclusione di Vaillant e poi di Waldinger, la capacità di superare le difficoltà senza chiudersi in se stessi, di aprirsi agli altri, di avere matrimoni solidi, relazioni durature. Chi supera conflitti e stringe legami si ammala meno, scende il rischio di depressione e demenza senile. La felicità fa bene alla salute, Harvard ci crede e prova a insegnarla.
Le lezioni di happiness all'interno del corso di Psicologia positiva tenuto da Tal Ben-Shahar (90 minuti dove c'è di tutto, dalla meditazione all'autocoscienza ai consigli di fitness) hanno sfiorato la cifra record di 1.400 studenti, molti di più che in Fondamenti dell'economia. Tal Ben-Shahar nel saggio Happier riduce la questione a tre domande: 1) Che cosa ha per me significato? 2) Che cosa mi dà piacere? 3) Quali sono i miei punti di forza? «Sono quesiti semplici, ma quante volte ve li siete posti? Rifletteteci. Non saltate subito alle conclusioni». Sempre a Harvard, lo psicologo Daniel Todd Gilbert ha inventato la teoria delle previsioni emotive, calcolo matematico per pianificare una vita gioiosa, guadagnandosi il soprannome di Smiling Professor.
Ma «l'arte del benessere soggettivo», come la chiama Ilona Boniwell, fondatrice dell'European Network of Positive Psychology si può davvero imparare? In un libro appena uscito, La scienza della felicità (Il Mulino) Boniwell parte dalla formula di Martin Seligman: H = S + C + V. H (happiness) rappresenta la felicità, S sta per la sua quota fissa, cioè il livello determinato geneticamente, C sono le circostanze e V i fattori sotto il nostro controllo. S influisce fino al 50% della felicità. Le circostanze della vita incidono sul 10%. «Per esempio», dice, « se volete vivere bene, sposatevi e aderite a una chiesa, ma non preoccupatevi di fare più soldi, di migliorare la vostra istruzione o di andare a vivere al sole». Il fattore V, che richiede uno sforzo individuale, contribuisce alla felicità per circa il 40%. La formula non è perfetta: «I geni e il matrimonio sono cose piuttosto differenti da mettere assieme», scherza Boniwell. «È un po' come sommare mele e pere. Eppure dà un'idea dello spazio di manovra a nostra disposizione. Sì, il 40% della felicità dipende da noi».
Singole ricerche hanno portato alla luce centinaia di sfumature nella gioia, nella serenità, nella saggezza, al punto da far immaginare un arcobaleno di emozioni, dall'attimo fuggente all'intensità della passione, dalla contentezza alla soddisfazione duratura. Non esiste "la" felicità, ne esistono molte, che con un certo impegno è possibile potenziare. Come? Frequentando persone felici. Guardando le soap (una ricerca del 2001 risponde alla domanda sul perché abbiano tanto successo). Andando in chiesa (tutti d'accordo: la religione riduce lo stress, crea supporto e condivisione). Spendendo denaro per gli altri. Assaporando singole esperienze, da una passeggiata a una tazza di caffè: è un impegno serio e si chiama "savouring". Ci sono anche prescrizioni "negative": non cercare di imitare le popstar e non puntare ai soldi: 10mila dollari l'anno in più accrescono il benessere soggettivo solo del 2%. Ce ne vuole, per arrivare al 40!
Bisognerebbe cominciare l'educazione alla felicità già alle elementari o alle superiori. Il primo esperimento è stato quello del Wellington College di Londra dove il corso di Skills of Well-Being ideato da Ian Morris e Nick Baylis ha suscitato commenti controversi, ma resta un tentativo interessante di ripensare la formazione.
Da adulti, altrimenti, il mondo del lavoro diventa una fabbrica di depressi, il che spiega il moltiplicarsi di manuali self-help, coach, trainer. L'Accademia della Felicità di Francesca Zampone, a Milano, è affollata da donne divise tra il mal di lavoro e il mal d'amore. School For Dreamers, fondata e diretta da Francesca Del Nero, ex manager finanziaria, promette di trasformare lo stress aziendale in energia positiva con il programma "Happy People in Happy Companies". Incalzata sul fronte pratico, rivela uno degli esercizi di maggior successo: la "doccia di felicità": «Siamo in una stanza. Una delle persone del gruppo è seduta di spalle e i colleghi devono dichiarare ad alta voce le sue qualità, di qualsiasi genere. La ricaduta positiva è incredibile. Gente che si ignorava comincia a salutarsi, la quota di equivoci e malintesi diminuisce. Scoprire che cosa di buono gli altri hanno notato in te, migliora subito le relazioni interpersonali. Riduce paura, ansia, diffidenza». È un buon metodo, vale per tutto. L'ideale sarebbe una doccia di felicità al giorno.