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Demoni e Dei

Aperto da LaDeA, Febbraio 18, 2012, 06:51:44 PM

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Consuelo

Si dice che esistesse una terra popolata interamente da queste donne che venivano chiamate le Amazzoni: ci credevano i greci, che pensavano vivessero ai loro confini, in un paese sul fiume Termodonte.
Una o due volte l'anno le Amazzoni si recavano alle frontiere per accoppiarsi con gli uomini delle tribù vicine, poi trattenevano le figlie femmine e restituivano i maschi.
Due regine, una per difesa e una per comando interno, si dividevano il potere.
Guidate dalla loro regina guerriera le amazzoni formavano un possente esercito a cavallo, munite di scudi a forma di edera e asce a doppio taglio.
Sul loro territorio vivevano pacificamente provvedendo a tutti i propri bisogni economici e producendo tesori artistici, e per quasi 4 secoli (1000-600 ac) ebbero il dominio sulla zona dell'asia minore che costeggia il mar nero.
O almeno questo era quanto i greci cedettero circa le guerriere leggendarie con cui finirono per scontrarsi.
Ancora oggi si discute sulla veridicità di questo mito e gli storici si chiedono se siano esistite veramente. La leggenda narra anche che queste donne per meglio tirare con l'arco si amputassero il seno destro, ma non vi sono prove di ciò e nelle opere d'arte dei greci stessi esse vengono ritratte con i due seni nudi ma integri.
Una delle fatiche di Ercole consistette nell'andare nel paese delle amazzoni e rubare la cintura d'oro della regina. Ercole sbarcò nella loro terra con un esercito ma la regina Ippolita gli offrì spontaneamente la sua cintura e con essa il proprio letto.
Ma le amazzoni non capendo cosa stesse succedendo presero a combattere con l'esercito di eracle, e molti furono i morti. Esse ebbero la peggio e in tale occasione le loro cape, Melanippe e Antiope furono fatte prigioniere mentre la stessa Ippolita trovò la morte.
Le amazzoni partirono per la grecia per liberare antiope da teseo e giunsero fino all'acropoli, ma dopo una crudele battaglia persero e dovettero ritirarsi al Nord, alla volta della terra che porta il loro nome. Molte furono le morti in questo percorso che rimase segnato dalle loro pietre tombali a forma di scudo.
Capisci l'importanza di quella persona quando non è con te.
Se ti manca, allora è davvero importante.

LaDeA

Narra la leggenda che Medusa una delle tre Gorgoni (Medusa, Euriale, Steno), l'unica alla quale il fato non avesse concesso l'immortalità, era un tempo tra le donne più belle. Invaghitasi di Poseidone, aveva fatto con lui l'amore nel tempio d'Atena. Quest'ultima profondamente irritata dall'affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un orribile mostro: le mani le aveva trasformate in pezzi di bronzo; aveva fatto comparire delle ali d'oro e ricoperto il corpo di scaglie; i denti erano diventati simili alle zanne di un cinghiale; i capelli erano stati trasformati in serpenti ed al suo sguardo aveva dato la capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse negli occhi.

Ognuno di noi ha un paio d'ali, ma solo chi sogna impara a volare.
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Consuelo

ERMES: Messaggero degli dei, figlio del dio Zeus e di Maia, figlia del titano Atlante. Messaggero particolare di Zeus, Ermes portava sandali alati, un cappello a falda larga e una verga d'oro magica (il caduceo), con serpenti intrecciati e ali; Ermes conduceva le anime dei morti nel mondo sotterraneo (Ermes Psicopompo), possedeva poteri magici sul sonno e i sogni, ed era il dio del commercio e dei mercanti, nonché il custode delle mandrie. Dio degli atleti, proteggeva i ginnasi e gli stadi e lo si riteneva responsabile sia della fortuna che della ricchezza. Malgrado le sue virtù, Ermes era anche un nemico pericoloso, un truffatore e un ladro. Il giorno della sua nascita rubò il bestiame del fratello Apollo, dio del Sole, facendo camminare all'indietro la mandria sulle proprie orme per cancellarne le tracce; posto a confronto con Apollo, Ermes negò il furto, ma i due fratelli si riconciliarono quando Ermes donò ad Apollo la lira che aveva creato. Ermes veniva rappresentato nell'arte greca più antica come un uomo barbuto e maturo; nel periodo classico divenne un giovane atletico, nudo e imberbe.
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LaDeA

Secondo la mitologia greca Eolo, dio dei venti, è figlio di Poseidone ed Arne ed ebbe, da Zeus, il compito di controllare i venti.
Eolo li dirigeva e li liberava custodendoli dentro le caverne e dentro un'otre a Lipari, una delle isole Eolie, il piccolo arcipelago a nord-est della Sicilia, nella quale aveva la sua reggia.

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Consuelo

CECERE: Dea dell'agricoltura, la cui figlia Proserpina era identificata con Persefone. La credenza greca secondo la quale alla sua gioia di unirsi nuovamente alla figlia si doveva ogni primavera la rinascita della natura e l'abbondanza di frutta e di raccolti sulla terra, fu introdotta a Roma nel V secolo a.C., e il suo culto divenne molto popolare soprattutto fra i plebei. La parola "cereali" deriva dal suo nome e la sua festa principale, chiamata Cerialia, si celebrava intorno alla metà di aprile.
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LaDeA

Apollo era figlio di Zeus e Latona, la quale si rifugiò sull'isola di Asteria (chiamata Delo – dal greco dopo la nascita del dio) per potersi sottrarre alla maledizione lanciatale da Hera e poter quindi partorire i due gemelli Apollo e Artemide.
Apollo personifica nel mondo greco l'anima razionale, in quanto apportatore di luce (a lui era dato il compito di trasportare sul suo carro l'astro da est ad ovest ogni giorno) è dunque depositario anche, e soprattutto, della luce interiore: "conosci te stesso" era infatti il detto scolpito nella roccia del suo tempio a Delfi.
Ma è anche il dio dell'arte e della musica (Apollo Musagete): si accompagnava alle Muse, con le quali viveva sull'Elicona; è anche dio della medicina e della profezia. L'arte medica e quella divinatoria erano associate nell'antica Grecia, considerando sia il medico che l'indovino capaci di "capire" attraverso segni (o sintomi!) la realtà delle cose. Il potere divinatorio era esercitato dal dio nelle numerose sedi dei suoi oracoli, primo tra tutti quello di Delfi (Apollo Delfico o Pitico).

Apollo viene normalmente raffigurato coronato di alloro, pianta sotto la quale il dio sarebbe nato e con la quale si cingeva il capo dei vincitori dei giochi olimpici. Ma è spesso raffigurato anche con l'arco e la cetra, rispettivamente simboli della vendetta (spesso è infatti invocato per punire) e dell'arte della musica. Altro suo emblema caratteristico è il tripode sacrificale, legato ai suoi poteri profetici. Animali sacri al dio erano i cigni (simbolo di bellezza), i lupi, le cicale (a simboleggiare la musica e il canto), e ancora falchi, corvi e serpenti, questi ultimi con riferimento ai suoi poteri oracolari. Nella sua accezione di Alexikakos o Apotropaeos, entrambi significanti "colui che scaccia – o tiene lontano – il male", si riferisce, oltre che al suo già citato ruolo di patrono dei medici, anche il suo potere di scatenare – e dunque anche di tener lontane – malattie e pestilenze (del corpo e dello spirito).
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Consuelo

Il centauro

La leggenda narra che i centauri ebbero origine dall'unione di un figlio di Apollo con delle bellissime cavalle. Erano creature con il corpo di cavallo, ma con il tronco ed il volto umani.
I centauri avevano i pregi e i difetti degli esseri umani e vivevano in uno stato primitivo sui monti e nelle foreste, nutrendosi di carne cruda.
Secondo il mito, furono protagonisti della centauromachia, la lotta contro Ercole, durante la quale l'eroe greco perse la vita. Chirone, uno dei centauri più saggi e sapienti, è considerato il fondatore della scienza veterinaria.
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LaDeA

Persefone, figlia di Zeus e di Demetra, dea della vegetazione e dell'agricoltura, era intenta a cogliere fiori insieme ad alcune ninfe presso le rive del lago Pergusa (vicino ad Enna). Improvvisamente, dal suo regno sotterraneo sbucò fuori Ade, innamorato della fanciulla, che per non perdere tempo in corteggiamenti e soprattutto per evitare di chiedere la mano di Persefone al fratello Zeus, decise di rapirla.

Fu la ninfa Ciane a reagire al rapimento aggrappandosi al cocchio di Ade nel tentativo disperato di trattenerlo. Il dio incollerito, la percosse col suo scettro trasformandola in una doppia sorgente dalle acque color turchino (cyanos in Greco vuol dire appunto turchino).
Il giovane Anapo, innamorato della ninfa Ciane, vistosi liquefare la fidanzata, si fece mutare anch'egli nel fiume che ancor oggi, al termine del suo percorso unisce le sue acque a quelle del fiume Ciane, prima di sfociare insieme nel Porto Grande di Siracusa.
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LaDeA

Achille figlio di Peleo, re di Ftia in Tessaglia, e di una Nereide di nome Tetide, o Teti, è il più famoso degli eroi greci ed uno dei principali protagonisti della guerra di Troia. Secondo la tradizione, la sua madre lo immerse nello Stige per renderlo invulnerabile, tuttavia, durante l'immersione lo tenne per il tallone, che quindi rimase vulnerabile.
Achille, per la sua educazione concernente la diplomazia e l'arte di governare, fu affidato al re di Calidòne, un'antica città dell'Etolia posta all'imbocco del golfo di Corinto. Mentre il centauro Chirone lo istruì sul tiro con l'arco, sull'arte di curare le ferite, sulla corsa a piedi (Achille "piè veloce") e su tutti i talenti delle muse. Sua madre, gli lasciò la scelta tra una vita breve e brillante ed una vita lunga ma oscura, ed egli rispose che preferiva la gloria e l'azione.
Per renderlo coraggioso, fu nutrito con midollo di leone e con viscere di animali selvaggi. Notevole per il suo coraggio e la sua fermezza di cuore, aveva però un carattere ombroso, pieno di rancore e disprezzo per i suoi avversari. Ma ciò non gli impedì di essere preferito delle dee Era ed Atena che vegliarono gelosamente su di lui. Il nostro eroe si legò d'amicizia con Patroclo che diventò il suo amico inseparabile (e certamente un po' di più, Apollodore III-13,8) fino alla morte. Calcante aveva preddetto che Achille sarebbe morto nella guerra di Troia, è per questo che Teti, per provare a sottrarlo al suo destino disastroso, lo inviò, camuffato da donna, alla corte di Licomede nell'isola Sciro (Skyros).
Fu assassinato in un tempio di Apollo, dove andava sposare Polyxène, figlia di Priamo. Aiace ed Ulisse salvarono il suo corpo che fu sepolto con Patroclo al capo Sygée e si disputarono le sue armi. Ulisse prevalse. I greci resero a Achille degli onori divini e gli dedicarono dei tempi ed un culto, in particolare a Sparta ed ad Eleia.
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Teseo ed Arianna.
Il re di Creta Minosse aveva vinto la guerra contro Atene. Ordinò allora che ogni nove anni (secondo alcune versioni ogni anno) sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi venissero inviati a Creta per essere divorati dal Minotauro. Quando venne il momento di effettuare la terza spedizione sacrificale, Teseo si offrì subito volontario per andare ad uccidere il mostro. Promise al padre Egeo che, in caso di successo, al suo ritorno avrebbe issato sulla nave delle vele bianche. Quando arrivò a Creta Arianna, la figlia di Minosse, si innamorò di lui e lo aiutò a ritrovare la via d'uscita dal labirinto dandogli una matassa di filo che, srotolata, gli avrebbe permesso di seguire a ritroso le proprie tracce,e una spada avvelenata. Trovato il Minotauro, Teseo lo uccise e guidò gli altri ragazzi ateniesi fuori dal labirinto.
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LaDeA

Eros, figlio di Venere e di Vulcano, si innamorò perdutamente di Psiche.

Ce ne parla Ovidio nelle Metamorfosi. Psiche è una principessa tanto bella da suscitare l'invidia di Venere, la quale chiede al figlio Amore di farla innamorare dell'uomo più abietto di tutti. Ma Amore si invaghisce di lei e, di nascosto, la conduce nel suo palazzo. Psiche potrà incontrarlo solo di notte e deve impegnarsi a non tentare di vedere il suo viso, altrimenti lo perderà. Per non soffrire di solitudine, Psiche invita a casa sua le sorelle le quali, invidiose della sua fortuna, le insinuano il dubbio che lo sposo sia così misterioso perché, in realtà, è bruttissimo. Quella notte Psiche, dopo che Amore si è addormentato, accende un lume e, di nascosto, ne guarda il viso. Ma una goccia di olio caldo cade sul viso di Amore, che si svaglia. Psiche può così contemplare per un attimo tutta la fulgente bellezza di Amore, il quale però sparisce. Psiche perde il suo amato. Venere, per punirla, la sottopone a quattro difficilissime prove. Solo Amore può salvarla: egli ottiene da Zeus l'immortalità per Psiche e la sposa. Dal loro matrimonio nasce una figlia, Voluttà.
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LaDeA

Demetra, dea della terra e della fertilità, dei campi e del grano, era sorella di Zeus ed ebbe da lui una figlia, Persefone; la fanciulla fu rapita da Ade, sovrano del Regno dei Morti, e la madre la cercò nove giorni e nove notti, finché scoprì dov'era finita: prese allora un accordo che prevedeva che Persefone passasse parte dell'anno con Ade e parte dell'anno con la madre. Questo spiegherebbe il ciclo delle stagioni e della vegetazione: nei mesi di permanenza della figlia agli Inferi, Demetra per il dolore rende la terra sterile e non vi fa crescere nulla. Demetra è un altro esempio di come il grande meccanismo del mondo è regolato dall'amore.
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Consuelo

Cristarra, demonessa delle tenebre, ingannatrice.

Quando nacqui non vidi la luce, ma solo le tenebre più oscure. Le più buie regioni degli inferi erano la mia patria, nessuna stella rischiarava quelle lande. Ma questi sono solo lontani ricordi. Sono un demone delle tenebre, la luce del sole è il mio incubo e il mio tormento. Essa mi ferisce e mi rende cieca. Sono le ombre più oscure le mie uniche vere amiche. Esse mi accompagnano in ogni momento, mi nascondono, mi rafforzano. Io e l'Ombra siamo la stessa cosa, abbiamo una comune essenza. Ora i miei piedi calcano questa terra dove l'odiato sole fa da sovrano, dove la notte succede timidamente al giorno. E la chiara Luce non sembra smettere di perseguitarmi.
Ero poco più di un infante quando la mia famiglia dovette lasciare gli inferi a causa delle rivalità, spesso sanguinose, tra i clan demoniaci. Eravamo sconffitti, reietti, costretti a vivere in un mondo sporcato dalla presenza di luminose creature nemiche. Trovammo rifugio nei fitti boschi dell'ovest, in mezzo a paludi malsane, dove il fitto manto degli alberi ci proteggeva da quell'astro dannato. Ed è da lì che iniziano i miei ricordi più nitidi. All'epoca io ero Osqueen Nubescura. Passavo il mio tempo negli angoli più fitti della foresta, dove i raggi solari non osano addentrarsi. Mi beavo del loro buio abbraccio e esse mi rendevano sempre più forte. Tuttavia, per quanto crescessi nel grembo dell'oscurità, ben presto mi resi conto che rimanendo lì, sarei rimasta sempre e solo una fuggiasca, nascosta e i miei poteri demoniaci sarebbero stati sprecati in una vita solitaria. Ma non avrei mai potuto accettare un destino così infimo, non io. Sarebbe stato un disonore per me e per l'ombra stessa. Se la mia famiglia preferiva continuare a vivere da reietta, facesse pure a suo piacimento. Io mi sarei procurata da sola tutto ciò che volevo. Ero una ragazzina quando fuggii dalla foresta, assumendo per la prima volta la mia umana forma. Per quanto viaggiai, non saprei dirlo, ma di certo non fu un lungo tempo. Nessuno della mia famiglia si scomodò per inseguirmi o venirmi a cercare... o forse semplicemente non riuscirono mai a scovarmi.
Mi aggiravo in uno strano luogo, come mai prima ne avevo visti. Era completamente privo di alberi e piante, ma tante spighe crescevano regolari, come se qualcuno ne avesse piantati i semi tutti nello stesso momento. All'epoca non avevo mai conosciuto un campo di grano. Il sole era appena tramontato ed io ero appena uscita dal nascondiglio diurno, quando sentii rumori di zoccoli di un cavallo alle mie spalle. Quando mi voltai c'era un umano che mi guardava con occhi benevoli. Mi chiese se mi ero persa. E io risposi che ero sola e non sapevo dove andare, non avendo una famiglia. Mentii mostrandomi impaurita e sofferente. L'uomo mi credette e mi condusse a casa sua. E infine mi adottò. Era un proprietario terriero, non troppo ricco, ma benestante. Aveva una moglie, ma nessun figlio. Molti in quei tempi si accorsero della mia stranezza: non uscivo mai di giorno, la stanza che mi assegnarono era sempre immersa nella più completa oscurità. Non accettavo altra compagnia che non fosse quella del buio da cui traevo la mia forza. Il padrone di casa tuttavia non fece caso a nulla... o forse fece sempre finta di non vedere. La sua smania di avere figli lo aveva reso cieco all'evidenza dei fatti. Aveva bisogno di avere a tutti i costi un erede, altrimenti i loro beni sarebbero stati confiscati, non aveva nessuna importanza se questo fosse stato storpio o cieco. Per questo non diede mai peso alla mia peggiore caratteristica: i miei occhi color dell'oro. L'uomo e sua moglie mi allevarono come fossi loro figlia naturale. Dal momento in cui giunsi alla loro casa non fui più Osqueen. Mi liberai da quel nome infamante, simbolo di una stirpe reietta e indegna. Il mio nome divenne Cristarra. Ricevetti una buona educazione e imparai le buone maniere che una signorina di provincia deve conoscere. Il mio istitutore era costretto ad istruirmi in una stanza completamente buia, con solo il lume di una candela. Ma nessuno si permise mai di contrariare quel mio volere. Io apprendevo tutto, fingendomi grata e piena di affetto per i miei genitori adottivi e a loro questo bastava. Naturalmente l'unica cosa che mi interessava veramente era l'eredità che avrei ottenuto alla loro morte, poiché una volta che diventata ricca e potente avrei avuto tutti i mezzi per portare discordia ovunque avessi voluto. O almeno questo era ciò di cui ero convinta. Ma le cose non andarono come io avevo tanto progettato. Passarono diversi anni e ormai ero certa che sarebbe stata questione di poco tempo prima che tutti i possedimenti del mio padre adottivo diventassero miei. Ma un giorno egli mi chiamò nel suo studio privato.
"Cristarra, figlia mia. Come sai sono malato e temo che non rimarrò a lungo in questo mondo. Tu sei la mia unica figlia e la sola a cui vorrei che andasse il mio patrimonio. Ma, ahimè, tu sei una donna. L'unico modo possibile per lasciarti i miei beni è trovarti un marito al più presto. E allora sarà lui a ricevere l'eredità in tua vece." mi disse. Il suo discorso proseguì ancora per lungo tempo, ma io non ascoltai una parola. L'unico modo per ricevere il patrimonio alla sua morte era quello di sposarmi, ma anche allora ogni singolo angolino di terra sarebbe appartenuta a mio marito e non certo a me. E io sarei stata quella che viene chiamata una moglie, ossia la schiava di un vile uomo umano. Mai mi sarei piegata a tanto. Una demonessa non si abbasserà mai ad essere serva degli uomini. In pochi attimi tutti i miei progetti si erano disgregati come un castello di sabbia all'arrivo delle onde del mare. Corsi a rifugiarmi nel buio pesto e protettivo della mia stanza, non sapevo che il peggio doveva ancora venire. Qualche giorno più tardi venni a sapere che a mia insaputa mio padre aveva combinato per me un vantaggioso matrimonio con un ricco mercante di città, Julian Velour, poiché la sua salute andava peggiorando sempre di più ed era ansioso di sistemare la quesione al più presto. In meno di due settimane avrei avuto l'anello a dito. Era ormai chiaro che sarei dovuta andarmene al più presto. Ma se fossi andata via prima del matrimonio, sarebbe significato dichiarmi sconfitta dinnanzi agli eventi. No, non sarei mai fuggita anche se non ero riuscita a raggiungere il mio obiettivo. Gli umani avevano provato a sottomettermi credendomi una sciocca donna umana e a rendermi loro schiava. Ma non si possono mettere catene ai polsi delle ombre. E ora era giunto il momento della vendetta. Due settimane vennero e passarono. Il giorno delle mie nozze fu splendido. La cerimonia fu la più sontuosa a cui avessi mai partecipato, il banchetto ricco e prelibato. Una fede d'oro lucente brillava alla mia mano sinistra. Io sorridevo gaiamente, fingendomi una sposina innamorata quando qualcuno mi chiamava Madame Velour. Ma nessuno poteva sospettare il vero motivo della mia felicità. Giunse la notte di nozze, ma non tutto andò come previsto... per loro. Avevo insistito moltissimo affinché la cerimonia si tenesse in un giorno di luna oscura, in cui nemmeno le stelle illuminavano il cielo. Non raccontai loro alcuna motivazione, ma io sapevo di dover scegliere il momento più propizio: la notte in cui il buio è più oscuro. Mancava qualche ora all'alba, quando abbandonai il mio travestimento umano per assumere la mia vera demoniaca forma, dalla coda di serpente. E allora fu il sangue di mio marito a bagnare il pavimento della stanza. E dopo il suo venne quello dei miei genitori adottivi. Dolce vendetta tinta di rosso! Tutto era compiuto e io mi sentivo più che mai crudelmente felice. Mi sentivo fremere all'odore della linfa che saturava l'aria, terribile soddisfazione mi suscitava vederla sgorgare dai corpi smembrati... Le mie mani sporche non mi parvero mai così belle. Erano tornate alla loro originaria purezza demoniaca, il sangue aveva lavato via anni di sozzura umana: l'inferiorità e la debolezza degli uomini non mi contaminava più. Sull'anello nuziale alla mia mano cade del sangue e da allora rimase per sempre macchiato. Il sole sarebbe sorto a breve, non avevo tempo da perdere, dovevo fuggire al più presto. Successivamente per la prima volta assunsi lo stadio demoniaco finale e fuggii dalla finestra della stanza, librandomi nell'aria con le mie ali demoniache. Volando sopra la città, avvolta nel buio. Nessuno mi notò, perché io e l'ombra abbiamo la stessa essenza. D'improvviso vidi una donna che camminava sola per strada. E allora ebbi un'idea. La presi alle spalle e la uccisi. La portai alla stanza dove giaceva il corpo di mio marito, squartai il cadavere della donna e lo misi al mio posto sul letto. In seguito fuggii nuovamente e questa volta per sempre. Nessuno nei mesi successivi seppe mai che la vera colpevole ero io. Mi credevano morta, come tutti gli altri. Ma io ero felice che lo credessero. Finalmente ero libera! Finalmente potevo nutrirmi liberamente della sofferenza altrui, portare discordia e sofferenza. Ero tornata a librarmi al di sopra di quelle inutili e vili creature, tessendo per loro la rete dell'inganno che li avrebbe distrutti. Non mi sarei mischiata mai più con loro, non sarei stata mai più come loro. Dall'alto delle mie tenebre impenetrabili avrei guardato le piccole mosche umane cadere nella mia trappola senza accorgersi di nulla. E giocando con loro avrei trovato il mio divertimento e il proseguimento della mia lenta dolcissima vendetta. Finalmente ero diventata come la vera oscurità, libera da ogni catena, da ogni obbligo. Essa non si può domare, non ha padroni. È il terreno fertile dell'inganno e così io diventai.
Viaggiai, viaggiai... Percorsi molte lande, portando inganni e tessendo reti alle mie vittime per mio divertimento. Ognuna delle mie vittime mi conobbe come Madame Velour, la dama dagli occhi d'oro. Ancora all'anulare della mia mano porto la fede macchiata di sangue, in ricordo della mia prima vera dolce vendetta. E ora i miei piedi calcano una nuova landa, sconosciuta, dove luce e ombra convivono. Angeli solcano il cielo, magiche creature si nascondono tra le fronde dei boschi. E io ancora una volta, mi celo nelle tenebre più oscure...
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Aamon (anche Amon) è un demone nominato spesso nella demonologia cristiana. In demonologia, Aamon è uno degli aiutanti di Astaroth e uno dei tre demoni al servizio di Satana. Conosce il passato e il futuro, che rivela a coloro che hanno stretto un patto con Satana. Secondo alcuni autori, possiede quaranta legioni di demoni, avendo così il titolo di "principe". I demonologi hanno associato il suo nome a quello del dio egizio Amun o al dio cartaginese Ba'al Hammon . Aamon è noto anche come Nahum, il cui nome significa "Colui che induce avidità".
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Consuelo

Nella Bibbia ebraica, la parola Belial non è un nome proprio, bensì un nome comune il cui significato è "uomo dissoluto" o "uomo privo di valori".
Belial è il demonio dell'Antico Testamento, apparteneva in origine per metà all'ordine delle virtù e per metà all'ordine degli angeli,Cacciato dal paradiso insieme a Lucifero.
Belial nei cieli conduceva una vita estremamente sregolata dove continuava ad avere amanti su amanti che, eventualmente, irretiva per poi abbandonare.Se questi, inoltre, dimostravano gelosia o la infastidivano, lui li faceva condannare con qualche falsa accusa.Nessuno di questi entrava mai nel suo cuore.
Belial coinvolse anche lo stesso Raphael, che ne rimase bruciato.
Belial ha concesso solo a Lucifero di pronunciare il suo nome.Tutti gli altri non devono pronunciarlo, pena la morte.
Belial nelle gerarchie medievali era un Re dell'inferno al comando di ottanta legioni di demoni.
Belial è anche la causa della perdizione degli uomini a Sodoma e Gomorra. Inducendo gli uomini al peccato, ha permesso al tutti di vedere quanto fosse semplice corrompere l'animo umano e scatenare l'ira di Dio.
Belial è questo ed altro.
Belial è peccato.
Belial è impurità.
Belial è dovunque.
Nessuno sa chi sia questo vampiro.
NE da dove venga.
NE quanti anni abbia.
MA tutti lo evitano.
Tutti lo evitano tranne una ragazza, un'umana. Il suo nome è KAtie Peaches. il loro incontro non è stato dei più pacifici, in quanto i modi di Belial urtarono non poco la signorina chiusa nella propria tristezza per un lutto.
Il fascino di Belial però è più forte e finisce lui stesso per trovarsi impigliato nella sua stessa ragnatela: in egual modo rimane affascinato da quella ragazza che sembra aver perso ogni considerazione della vita. Rimane affascinato da quella ragazza che si rivela non essere altro che la sua sirena.
Assuefatto completamente da lei.
Anche nel modo di rapportari all'amore è distorto, Belial continua ad essere un giullare anche amando e sono poche le volte in cui tende a comportamenti smielati, preferisce di gran lunga la schiettezza sincerità di complimenti che molto frequentemente imbarazzano o fanno arrossire la sua "Madamoiselle Katie" come usa chiamarla.
Adora parlare con lei, stupendosi di quanto una ragazza umana possa fargli capire. Adora metterla in determinate situazioni.
Adora farla imbarazzare e adora come quel rossore si posa sulle sue guance, anzi quando è in imbarazzo non fa nulla per allievarlo, lo incrementa.
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